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Melendugno
Melendugno deve il suo nome al miele finissimo che qui si produceva. Fino al secolo scorso, infatti, Melendugno era il maggior produttore di miele dell’intera provincia, come scisse il Tasselli nel 1693. Dell’abbondante e pregiatissimo miele hanno scritto anche il Marciano, l’Arditi e Oronzo Gabriele Costa. Nello stemma civico del paese è raffigurato un pino marittimo il cui fusto, nella parte centrale, è avvolto da un alveare. Il pino, oltre ad essere la pianta che più di altre un tempo caratterizzava il paesaggio locale, è considerato il simbolo della longevità, per la persistenza del fogliame e l’incorruttibilità della resina. L’alveare richiama l’altra caratteristica fondamentale del luogo, cioè il suo miele, che si produceva in due qualità: il miele di stagione, che si raccoglieva in primavera, leggero e profumato, e il miele rosso, prodotto dalle api che si erano cibate dell’umore zuccherino dei fichi agostani. L’apicoltura, favorita dalla fitta e rigogliosa macchia mediterranea che anticamente circondava l’abitato, fu un’attività molto redditizia fino al secolo scorso. Ma, all’inizio del 1900, cominciò a decadere e, nel 1946, vi fu il definitivo colpo di grazia, perché venne fatta una micidiale disinfestazione, a base di DDT, nel territorio considerato pernicioso e malarico, con la conseguenza che ciò procurò la strage delle api, che molti a Melendugno trovarono morte a mucchi di più chili sui davanzali delle finestre e dietro le porte nei giardini. Così, finì il mito del miele di Melendugno e della sua apicoltura. A Melendugno, il 15 e il 16 settembre, si festeggia S.Niceta Martire, patrono della città. Niceta, dal greco “Nikètes”, il “Vincitore”, nacque a nord del Danubio dalla stirpe dei Goti. Per l’esattezza, nella sua tribù,quella dei Visigoti, vi erano due gruppi comandati da Fritigerno e Atanarico. Quest’ultimo perseguitava i cristiani, fra cui Niceta, che morì straziato, dopo essere stato flagellato e percosso con verghe, funi, pugni e calci, e poi bruciato. Nel 375, vi fu la deposizione delle sue reliquie a Mopsuestia, in Cilicia. Dalla città asiatica di Mopsuestia, più tardi chiamata Salmistra, le ossa furono trasportate a Venezia nel 1369, secondo lo storico Gabrieli. Ma la venerazione del Santo era già da molto viva a Melendugno, per opera dei monaci basiliani e S.Niceta era già celebre nella loro liturgia.Proprio intorno a questo centro di culto, infatti, più di settecento anni fa, le fonti dicono sia nato un borgo che ha, poi, dato i natali a Melendugno. I Veneziani, nel 1369, deposero il corpo di Niceta nella Chiesa di San Nicolò dei Mendicali. Molti tentarono di avere il suo corpo ma fu solo Melendugno ad impossessarsi di una sua reliquia. Una relazione del 1894 rende noto che la traslazione del braccio sinistro di S.Niceta, da Venezia a Melendugno, fu opera del canonico Teodosio Maria Gargiulo, il quale, nel 1881, la ottenne dal patriarca veneziano Mons.Agostini. Dell’atto venne tratta una copia in pergamena, che fu chiusa nella tunica del Santo al posto del braccio tolto; l’originale fu destinato alla Curia patriarcale di Venezia e un’altra copia venne consegnata alla Curia vescovile di Lecce, il cui vecovo, Salvatore Luigi Zola, il 28 gennaio 1882, solennemente portò a Melendugno la santa reliquia. Bellissima la statua di San Niceta a cavallo, opera di un anonimo cartapestaio, conservata nella Chiesa di Maria SS. Assunta. Testi di: Paolo VincentiSuperficie: -
Abitanti: -
Denominazione abitanti: melendugnesi
Cap: 73026 -
Prefisso: 0832 -
Altitudine:
Web :
Codice Catasto: - Codice comune: F101 - Codice Istat: 75043
Municipio : -
Polizia Municipale:
Pronto Soccorso: -
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Proloco :
Frazioni di Melendugno:
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